Certo, la direzione è chiara: le politiche europee insistono sempre più sulla riduzione delle emissioni inquinanti, nella prospettiva di una società net-zero. Un impegno collettivo che coinvolge tutti, ma è chiaro che c’è molta differenza fra l’inquinamento domestico e quello di una grande azienda. Ma allora come si possono quantificare le emissioni di cui siamo responsabili? Per rispondere a questa domanda, si è introdotto un sistema di misura noto come carbon footprint.
Che cos’è la carbon fooprint?
La carbon footprint (impronta di carbonio) misura la quantità totale di gas serra emessa direttamente o indirettamente da un’attività, un prodotto o un certo stile di vita, espressa in tonnellate di CO2. Certo, l’anidride carbonica è sicuramente il gas inquinante principale, ma per calcolare la carbon footprint si tengono in considerazione anche altri gas serra, come il metano o l’ossido di azoto.
Il concetto di carbon footprint fu introdotto nel 1992 da William Rees, professore di ecologia alla British Columbia University. Da allora, viene impiegato come unità di misura principale per quantificare le emissioni inquinanti.
Quali sono i vantaggi di questo sistema?
La carbon footprint propone un criterio di misura piuttosto ampio, perché coinvolge sia le emissioni dirette che indirette: non si limita a quantificare la CO2 prodotta in un preciso istante (emissione diretta), ma coinvolge un arco temporale piuttosto lungo. Per calcolarla, infatti, si prendono in considerazione tutte le emissioni di gas serra dell’intero ciclo di vita del prodotto (emissione indiretta): dall’estrazione delle materie prime, passando per l’uso o il consumo del prodotto fino allo smaltimento finale.
In questo modo, la carbon footprint responsabilizza l’utente finale – chi utilizza il prodotto – sull’intero ciclo di vita dell’oggetto inquinante. In altri termini, quando guidiamo una macchina la nostra carbon footprint non si calcola solo sul consumo presente, ma su tutto il ciclo che va dalla produzione della macchina fino al suo smaltimento.
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E per le aziende?
Gli standard internazionali distinguono fra due diverse modalità di calcolo della footprint:
– impronta carbonica di prodotto;
– impronta carbonica di organizzazione.
Per il prodotto, vale quanto detto sopra: il calcolo si svolge sull’intero ciclo di vita del prodotto specifico, dall’estrazione delle materie prime fino allo smaltimento.
Anche per l’organizzazione (come un’azienda) vengono considerate le emissioni dirette e quelle indirette, ma le seconde riguardano anche il comsumo di energia elettrica e termica che l’organizzazione utilizza, con il relativo apporto inquinante.
Tuttavia, per le organizzazioni il calcolo diventa più specifico: qui si considerano le emissioni inquinanti pertinenti alla loro specifica produzione. L’azienda che ha prodotto il motore di un’auto, per esempio, calcolerà la sua footprint in base alle emissioni derivate dalla sola produzione del motore – calcolando anche le emissioni indirette, appunto i consumi energetici.
Cosa si può fare per ridurre la carbon footprint?
Ridurre l’impronta di carbonio, cioè la quantità di CO2 derivante dai nostri consumi, significa adottare uno stile di vita sostenibile. Una scelta che passa sicuramente per le nostre abitudini, ma anche per il tipo di energia che scegliamo di consumare in ambito domestico – l’inquinamento delle abitazioni incide in maniera importante sul surriscaldamento globale.
Ecco perché i sistemi che impiegano fonti di energia rinnovabile, come un impianto fotovoltaico, possono fare una differenza concreta per ridurre la nostra carbon footprint. Inizia ora a fare la differenza. Contattaci per ricevere una consulenza gratuita sul tuo nuovo impianto fotovoltaico!